venerdì 12 giugno 2009

Solito

venerdì 12 giugno 2009

Jaz sta sorseggiando una birra, Alice è seduta a un tavolo e studia per il compito di domani. Non c'è nessun altro, né vivo né morto, e io ho poco da fare.

— Ieri sera — fa Jaz a un punto, — sono andato a sbirciare il lavoro di quella tipa ch'è venuta l'altro giorno.
Ci penso su. — Quale?
— Quella che scrive romanzi rosa cui hai consigliato di aggiungere elementi soprannaturali.
Oh, quella. — E come va?
Fa un ampio sorriso strafottente. — Ha sul comodino sei libri di Laurell K. Hamilton, un paio de Le Cronache dei Vampiri della Rice e un tale Vampire Kisses.
— Quindi ha scelto i vampiri.
— Non ha scritto ancora una riga, ma scommetto di sì, metterà i vampiri.
— Una storia d'amore tra vampiri adolescenti — deduco.
— Ed è tutta colpa tua, Lore. Tua.
— Magari è brava.
— Ho preferito non indagare.
— Si documenta. È qualcosa.
Jaz si volta a guardare Alice, che presa com'è non pare accorgersene. — Se lo fa come lei, forse c'è qualche speranza.
Abbasso la voce. — E lei come va, invece?
Jaz indugia. — Sai quanti anni ha?
— La mia età.
— Uh, uh. Parlate molto?
— Lei, più che altro. Mi ha fatto un mazzo tanto perché ho lasciato la scuola. — Che non è proprio esatto, dal momento che è stata colpa della Signora Morte.
— Be', per avere sedici anni va alla grande.

Alice si alza e viene al bancone. Quando lo affianca, Jaz le dedica un lungo sguardo.

— Mica mi fai il solito? — mi dice.

Io annuisco e mi chino per aprire il frigo.

— Cos'è il solito? — sento Jaz dire.
Quando torno su, vedo Alice che fissa la doppio malto di Jaz. — Un succo all'albicocca — risponde.

Jaz sogghigna.

— Ti sembra strano? — domanda Alice.
— Nah.
— A me pare però strano che un bambino come te beva birra. — Si gira in mia direzione, mentre le porgo il succo di frutta. — Com'è che gliela vendi?

Non gliela vendo, perché è il proprietario. — È maggiorenne.
Inarca un sopracciglio e dice a Jaz: — Quanti anni hai?
— Centoventidue.
Alice scuote la testa, e torna a guardarmi. — I suoi genitori che ne pensano?
— Ti facevo meno bigotta, Alice.
— Non sono bigotta, mi preoccupo che vi facciano chiudere. Mi piace qui.
— Non chiudiamo.

Si stringe nelle spalle, poi si gira e torna a sedersi sorseggiando il succo.

giovedì 11 giugno 2009

Guerra

giovedì 11 giugno 2009

— Maledizione.

Oggi Alice pare nervosa. È entrata, si è avvicinata al bancone e ci ha sbattuto sopra un libro aperto, mostrandomi una riga con l'indice.

— Che c'è?
— Leggi qui.

Era un uomo cattivo. Faceva del male e se ne compiaceva, viveva in una brutta casa e odiava gli altri. Aveva capelli bruni e occhi sempre iniettati di sangue. Vestiva di nero, una giacca lunga di pelle, jeans e anfibi. L'altro giorno aveva ucciso e oggi l'avrebbe fatto di nuovo.

— Che ha che non va? — chiede Alice, quando risollevo lo sguardo.
Esito un po', tornando a guardare le righe. Poco dopo attacco: — Troppo frammentario e Narratore fastidiosamente soggettivo e bigotto. Perché è cattivo? Perché fa del male e se ne compiace? Bah. Vive in una brutta casa. Perché brutta? Odia gli altri. Perché? Poi è descritto nei minimi particolari. Perché essere tanto precisi sull'aspetto quando si danno informazioni così frammentarie su di lui in generale? Sta malissimo. Dice che ha ucciso, ma per quanto ne so può aver ucciso una formic...
— Okay, va bene così. Un sacco di perché.
— L'hai scritto tu?
— No. — Mi mostra la copertina.

K. Roy Alardo
Il Rito del Sangue

— Ultima uscita, e sta facendo parecchio scalpore — dice.
— E ci credo.
— Nel senso che vende.
Sospiro. — C'è anche di peggio.
Alice si siede. — Manuali per non scrivere.
— Si può imparare anche da quelli.
— E ci si può incazzare perché vendono.
— Anche, sì.
— Bah.
— È roba di tutti i giorni, Alice.
— Lo dici come se ti andasse bene. Dal punto di vista editoriale, e non solo, l'Italia è una merda. Ma anche la gente. Come fa a farsi piacere 'sta roba?

Sorrido. Un sorriso più malinconico che altro.

— Torno su Napoleone, va' - dice.
— È il tuo modo di dare guerra?
— In un certo senso.
— Che guerra sia.

mercoledì 10 giugno 2009

Parliamo di me

mercoledì 10 giugno 2009
Quando chiedono come mi chiamo, in genere succede questo:

— Nome.
— Lorenzino.
— Cognome?
— Muccala.
— Eh?
— Muccala.
— Seriamente, cognome.
— Muccala.

Mio zio diceva che il nostro cognome è una gag che accompagna la famiglia di generazione in generazione, di cui ci si potrebbe vantare.

— Gag? Mi pare più una disgrazia. A scuola mi calpestano, per via di 'sto nome.
— Considerati fortunato, Lore. Saresti potuto nascere femmina col cognome Troia, pardon, Troìa.

Discorso diverso per quanto riguarda i miei genitori.

— Ecco, io credo che mi dobbiate delle scuse.
— Del tipo?
— Non mi volevate, vero? Scommetto che sono capitato per caso e quando avete scoperto che c'ero, be', ve ne siete fatti una ragione ma avete promesso di vendicarvi.
— Che stai dicendo?
— Avete pensato che farmi nascere come Muccala non sarebbe stato abbastanza per farmela pagare. Così, se magari pianificavate di chiamarmi Lorenzo, lo avete trasformato in vezzeggiativo.
— Lorenzino è un nome come un altro.
— Certo, come anche Addolorata.

Ho sedici anni. Sulla Terra ne compirò diciassette il mese prossimo, mentre nel posto in cui mi trovo il tempo serve solo come statistica. L'ambientazione non cambia con l'avanzare delle stagioni, perché di stagioni non ce ne sono. Su Faerie c'è il giorno e la notte ma è un effetto voluto e quindi artificiale, come avviene un po' sulla maggior parte delle dimensioni.

Per quanto riguarda la mia morte, ne ho parlato di recente col mio capo, Jaz.

— Sai, stronzo, non ti ho ancora chiesto come mai il tuo culo si trova qui.
— Stavo giusto tentando di rimuovere. Grazie tante.
— Non è qualcosa di cui ti dimentichi prima di qualche secolo.
— Non puoi parlare per esperienza.
— Tu che ne sai?
— È stata una maledizione.
— Maledizione?
— Già. Però non ha colpito me, ma un tizio che ho conosciuto circa dieci anni fa al Centro Estivo. Questa maledizione va attaccare quelli che sono o sono stati intimi col maledetto, e pare che lui non si sia dimenticato di me.
— Sei stato intimo con lui?
— Come amico, e per nemmeno un mese. Che cazzo. — Evitai di menzionare che lui non si era dimenticato di me per altri motivi, che avevano giustificato il perché, quando interpretavamo Jessie e James dei Pokémon, Jessie era sempre lui.
— Tu come sei morto, invece?
Jaz s'era stretto nelle spalle e non aveva risposto.

Mi sono avvicinato alla Scrittura Creativa a dodici anni, dopo aver visto il primo componente della Trilogia del Dollaro di Leone e letto un paio di fumetti di Ken Parker, tutti consegnatomi dallo stesso zio che giudicava il nostro cognome una gag. Il Western, in particolare quello nostrano, mi è sempre piaciuto. A tredici anni ho preso in mano la prima rivoltella e per poco non mi son giocato la virilità tentando un estrazione dalla cinghia.

Tornando alla scrittura, ho scritto il mio primo e unico romanzo grazie all'aiuto di un professore che tra le altre cose insegnava Scrittura Creativa all'Università, e che diceva d'esser stato amico di Miguel de Cervantes Saavedra in un'altra vita. All'epoca non sapevo manco chi fosse e mi aveva lanciato un Don Chisciotte in copertina rigida sui denti.

Del mio romanzo non ho molto da dire. Forse prima o poi ne riparlerò, perché è grazie a lui se sono dietro al bancone del Blue Feather Cafè a dispensar consigli a Tizio e Caio. Nel bene e nel male, s'intende.

martedì 9 giugno 2009

Fantasio

martedì 9 giugno 2009

Il Nucleo è un Comune modesto, abitato dai pochi addetti alla supervisione di Faerie. Non fa parte della zona infestata di Fantasia perché circondato da mura parecchio alte e protette da altre cose di cui non sono a conoscenza; nonostante questo capita che qualche diavoleria faccia un bel salto e vada a trovare gli abitanti. Quando accade, e accade spesso, lo Sceriffo si mette in moto e rispedisce al mittente eventuali elfi, motociclette alate e conigli mannari - se va bene.

— Sai che? — mi dice proprio lo Sceriffo, posando la rivoltella sul banco. — La cosa peggiore è quando salta fuori qualcosa derivante dalle fantasie erotiche di qualcuno.
— Immagino di sì — rispondo. Mi piace quando viene a farmi visita. Ha un sacco di cose da raccontare. Vivendo anch'io nel Nucleo, ho spesso occasione di osservare le bizzarrie che superano le Mura, ma lavorando otto ore al giorno perdo un sacco di roba. Grazie a lui recupero qualcosa.
— Oggi è stato assurdo. Quando sono spuntati, abbiamo pensato a qualche horror di serie B, perché erano tutti zombi. Poi hanno iniziato ad accoppiarsi in piazza.
— Un Necrofilo.
— Mah, suppongo di sì. Non è stato bello.
— Questione di gusti.
Mi guarda di traverso. — Ti piacerebbe assistere a una cosa del genere?
Mi ritrovo a pensarci. — Non credo.
— Eh. A Todde piaceva.
— Todde dorme in una bara.
— Maledizione a lui.

Todde è forse l'unico Fantasio che conosca. Lavora con lo Sceriffo ed è uno Smistatore. Succede più spesso di quanto diffuso che si permetta a un Fantasio, un essere vivente proveniente dalla Fantasia e quindi da Faerie, di accedere alla comunità. C'è comunque molta discriminazione e non hanno i diritti degli umani, non avendo accesso alle dimensioni pubbliche senza determinati permessi.

— Però è un piacere lavorarci — dice lo Sceriffo. — Ho avuto a che fare con altri Fantasio in passato, e avevano tutti qualche remora a fare gli Smistatori.
— Perché è come ammazzassero parti di loro, no?
— Già. Todde invece ci si abbatte come su carne fumante. E lui adora la carne fumante.

lunedì 8 giugno 2009

Faerie

lunedì 8 giugno 2009

Da qualche parte, sul Mondo dei Vivi, un bambino gioca. Giocando, sogna e fantastica. Lui è - immagina di essere - un supereroe. Deve salvare la pulzella in pericolo, tenuta in ostaggio da un furetto gigante sul tetto di un grattacielo altissimo.

A Faerie (Bo), 34-58 HY, è apparso un supereroe. Sotto di lui, il suolo bianco si colora di nero, assume un aspetto ruvido e diventa asfalto. Presto, l'asfalto si rompe in una crepa, che si allarga a lasciar salire in superficie un palazzo molto alto, sul quale è visibile un essere peloso e una ragazza legata come un salame.

Alla stessa ora, tornando sul Mondo dei Vivi, un uomo si mette alla tastiera del computer e apre il programma di elaborazione testi. Ha appena visto un film interessante, che ha acceso in lui una fiamma creativa. Non l'ha mai fatto, ma crede di poter scrivere un romanzo.

Ancor prima di iniziare, la sua mente ha iniziato ad ampliare Faerie con frammenti confusi di possibili personaggi e trame.

La Mente è un mezzo potente e Faerie la sua puttana. Faerie è il posto in cui la Fantasia diventa un'orgia composta dalla creatività umana.

Faerie è in continua espansione. Nonostante questo, il livello di Fantasia deve rimanere sotto l'ottanta percento, altrimenti la Fantasia inizia a venir spurgata tra le dimensioni - senza mai toccare il Mondo dei Vivi - creando parecchio marasma.

Attualmente, il livello di Fantasia supera il sessanta percento della capienza di Faerie, ed è così da un po', quando la norma impone che non superi il cinquanta. Questo perché gli Smistatori, incaricati di eliminare la Fantasia, stanno avendo problemi. Ma questa è un'altra storia.

Con gli Smistatori per anni, secoli e millenni la Fantasia stata eliminata per necessità. Al giorno d'oggi, bisognosi di nuove forme d'intrattenimento, la Fantasia viene sì eliminata, ma quella meritevole viene posta in una Dimensione a parte visitabile da chiunque in cambio di denaro. Questo smistamento viene fatto da un gruppo di Smistatori Speciali atti a giudicare il lavoro. Jaz, che rientra tra questi, si occupa della Fantasia derivante dalla narrativa. Di recente non è affatto soddisfatto perché un sacco della Fantasia che intenderebbe smistare si rivela poco originale e noiosa. Se ha allestito il Blue Feather Cafè è per tentar di risollevare gli scrittori, in modo da poter vendere Fantasia decente. Ogni mese Jaz controlla la Fantasia prodotta da coloro che visitano il locale e si rende conto che da quando ci sono io dietro al bancone le cose non vanno troppo bene.

domenica 7 giugno 2009

Parzialità

domenica 7 giugno 2009

— A me non piacciono i nomi inglesi.
— Ah, sì?

È un uomo di mezza età, venuto a trovarci oggi. All'entrata aveva già il broncio, perciò non è colpa mia se è scorbutico.

— Siamo in Italia, giusto? Che usino nomi italiani! Che è 'Blue Feather Cafè'?
— Significa...
— So l'inglese, non farmi lezioni.
— È che siamo una catena internazionale — proseguo. Vero solo a metà, perché non siamo una catena. Il Feather si sposta di continuo di luogo in luogo, e a Jaz era sembrato opportuno un nome inglese, dal momento che è la lingua internazionale per eccellenza.
— Non ho mai sentito di una catena simile.
— Eppure siamo parecchio famosi, sa.

Lui scuote la testa e china il capo. Ha ordinato una birra, che non ha toccato e continua a guardare.

— Se posso essere discreto, cosa la turba? — chiedo.
— Scusa, ma non mi sento di parlarne con te.
— È un peccato. Cose personali?
— Lavoro.
— Oh.
— Non credo tu possa capire.
— Possiamo provare.
Si stringe nelle spalle. — Sto seriamente pensando di trovarmi un editore a pagamento.
Aggrotto la fronte. — Come mai?
Mi guarda. — Sai cos'è?
— Sì. Una volta scrivevo anch'io.
A occhio divertito, torna sul bicchiere. — Una volta? Puzzi ancora di latte, ragazzo. Sarà stato ieri. E cosa scrivevi?
— Romanzi.
— Uh, uh.
— Romanzi Western.
Rialza la testa, rivolgendomi uno sguardo sorpreso. — Western?
— Già.
— Avrei detto che uno della tua età non s'interessa più a generi simili.
— Io sono particolare.
Ridacchia. — Hai mai fatto leggere a qualcuno il tuo lavoro?
Prelevo un bicchiere dal lavello e inizio a sciacquarlo. — Sì, ma preferirei non parlarne.
— Non è piaciuto?
— È una storia lunga, e stavamo parlando di lei.
Lui annuisce. — Certo, parlavamo di me.
— Ecco, io lascerei perdere gli editori a pagamento.
Manda giù un sorso di birra. — Ma gli editori normali non capiscono niente... — Mi guarda. — Come hai detto che ti chiami?
— Lorenzo. — Ho smesso di dare il mio nome completo. Com'è intuibile, in pochi sulla faccia della Terra hanno l'opportunità di chiamarsi Lorenzino e tutti, tranne quei pochi, sembrano trovarlo divertente.
— Be', Lorenzo, tu che ne sai? Hai mai tentato la pubblicazione?
— Questo è un locale per scrittori, signor...
— Paolo. Paolo Vitali.
— Signor Paolo. In quanto locale per scrittori si parla anche di editoria, quando capita.
Mi guarda, perplesso. — Locale per scrittori?
— Già.
— Che idea è quella di fare un locale per scrittori?
Spiegarlo in poche parole non è facile. — Il padrone, il signor Jaz, ha a che fare con la narrativa. Tutti i giorni.
— E con questo?
— Con questo, ha avuto la brillante idea di investire su un locale simile così che si possa dar consigli agli scrittori di tutto il mondo, evitando loro di far male quando si mettono alla scrivania.
Sbuffa un risolino. — Ridicolo.
Mi stringo nelle spalle.
— E mette un ragazzino dietro al bancone, a dispensar consigli?
— Riguardo questo non è convinto manco lui. Ma non ci sono solo io. Anche gente più competente. — Di circa un secolo più vecchi, ops, antichi di me.
— In ogni caso — continua, — anch'io ho sempre disprezzato gli editori a pagamento. Ma sono anni che tento di pubblicare. Mi sento uno scrittore e credo che il mio lavoro sia stato il più delle volte lecito. Ben più di certa roba che sbarca in libreria. Ho anche aperto un blog, scelto di lasciar gli eBook gratuiti e tutto, ma niente. Ho raggruppato un modesto numero di lettori, e lo faccio presente a tutte le case a cui mando i manoscritti, senza risultato. Inizio a pensare di essere troppo vecchio, ormai. Che non ci sia più posto per me, tra gli scaffali.
— C'è da dire che negli ultimi anni non sono molto imparziali, con l'età.
— Ci puoi giurare. — Sorride. — Tu saresti perfetto. Se tentassi di pubblicare sarebbe facilissimo. Basterebbe scrivere a lettere cubitali che sei sotto i venti.
Sospiro. — Se io fossi Ryu Sasakura, tenterei di consolarla con un cocktail dei miei.
— Uh?
— Ma purtroppo non sono bravo come lui.
— Di che stai parlando?
— Del fatto che bisogna accettare le cose come stanno o lottare per cambiarle. Lei crede sia l'età, e per quanto triste, di questi tempi è anche possibile. Ma l'editore disposto a pubblicare l'onesto scrittore c'è sempre. Mi porti un suo manoscritto. Lo esaminerò e le dirò se è migliorabile. Forse il problema sta là.
— Uhm...
— Mi dia una possibilità. Crede che non possa aver proprio nulla da insegnarle?
È titubante. — Non è così. Solo che per come la vedo io...
— Me lo porti.
Alza le mani, in segno di resa. — D'accordo.
Sorrido.

sabato 6 giugno 2009

Gioia

sabato 6 giugno 2009

— Perché hai lasciato la scuola?

Nel film Per qualche dollaro in più, Lee Van Cleef nei panni del colonnello Mortimer dice che le domande non sono indiscrete, ma che le risposte possono esserlo. Be', io non la penso così.

— Mi annoiava.
— E adesso fai il barista.
— In un locale particolare.
— Paricolare per cosa?
— Ci vengono solo scrittori. — La guardo negli occhi. — O aspiranti. — E morti, cani a due teste, gente coi tentacoli al posto delle gambe e molti altri, ma lei quelli non può vederli.

Si chiama Alice e da qualche giorno si siede a un tavolo solitario in compagnia di un libro di storia e un blocco per gli appunti. Abbiamo già parlato ma oggi è la prima volta che si avvicina al bancone.

— Oh, ci vengono solo... — Si guarda intorno. Ci sono altri tre clienti, due uomini e una donna, quest'ultima invisibile ai suoi occhi perché morta e non facente parte dello staff. — Capisco perché non è molto frequentato, ora.
Sorrido. — Ti accontenti del succo di frutta o vuoi altro?
— Tipo?
— Un cocktail.
— Non bevo alcolici.
— Non ci sono solo cocktail alcolici.
— Non ne vale la pena se è analcolico.
— Cazzate.
Rimane a guardarmi. — No, grazie.
Mi stringo nelle spalle. Lei torna sul libro. — Che studi? — chiedo.
— Mi documento su Napoleone. Ho intenzione di scriverci qualcosa a riguardo.
— Oh, ti ducumenti. Che cosa bella.
— Sei ironico?
— Gioioso, direi.

venerdì 5 giugno 2009

Qualcosa di soprannaturale

venerdì 5 giugno 2009

Si chiama Blue Feather Cafè e sta in mezzo a due dimensioni. È un bar e ha la caratteristica di essere l'unico locale aperto sia ai morti che ai vivi, sebbene operi in un certo senso solo per quest'ultimi. Io ci lavoro da un mesetto, da quando una maledizione a forma di troia m'ha spinto tra le braccia di Pietro, e al momento mi trovo bene. Ho l'opportunità di parlare con un sacco di gente e l'occasione di dare consigli agli scrittori di tutto il mondo, mansione per cui vengo pagato di più.

— Oh, una merda anche oggi — dice il mio capo, quando si siede al bancone.

Si chiama Jaz, è morto alla veneranda età di dieci anni e da allora non è più cresciuto. Da circa un secolo racimola soldi al fine di comprarsi un corpo da adulto. Non avendo mai raggiunto la pubertà, gli piacerebbe provare. Io sono morto sedicenne e ogni volta che mi lamento penso a lui, o a tutti gli sfigati che crepano vecchi bacucchi o strangolati dal cordone ombellicale ancor prima di nascere.

— Perché?
— Elfi.
— Ah.

Avendoci a che fare così spesso, Jaz non sopporta i cliché Fantasy.

Gli verso un bicchiere di whisky. — Com'è la trama?
Lui beve in un sorso, posa il bicchiere ed esita, poi scuote la testa. — Cestinato.
— L'Autore?
— Un ragazzino piemontese sul secondo romanzo.
— Chi l'ha segnalato?
— Nessuno. Ultima pubblicazione.

Accanto a lui si siede una donna, in carne, dall'aria disagiata. Jaz la guarda a lungo, lei ricambia. È una viva ed essendo viva si tratta di una scrittrice, perché gli unici vivi attirati dal cartellone intermittente del Feather sono scrittori.

Jaz mi guarda, comunicandomi con gli occhi che è una mia cliente.

— Desidera? — chiedo.
— Un bicchiere d'acqua.

Normale. Entrano e non sanno che ordinare, quindi chiedono l'acqua. Gliela porgo.

— È carino qui — dice. — Ha aperto da poco? Non l'avevo mai visto.
— Ci siamo da tanto — rispondo. — Ma lo conoscono in pochi, per lo più scrittori.
Lei s'illumina. — Scrittori?
— Sì. Ha mai sentito parlare di Writer's Cafè? È una catena di locali londinesi atti a ospitare gli scrittori; un posto dove scambiarsi opinioni, critiche... Noi ne siamo una bieca imitazione.
— Curioso —, mormora, ora più sorpresa che a disagio — io sono una scrittrice, o meglio —, ridacchia — sto scrivendo un romanzo.

Jaz sorride tra i baffi.

— Curiosa coincidenza, sì. Che tipo di romanzo?
Ancora, s'illumina. — Da ragazza leggevo un sacco di libri rosa. Amo il lieto fine e il giardiniere muscoloso. Quindi è...
— Un romanzo rosa.
— Sì.

Jaz, rivolto dalla parte opposta, tira fuori la lingua e se la morde. Forte.

— E la trama?
Mi guarda, esitante. — Non conviene parlare della trama del proprio libro. Non prima di aver provveduto a proteggerlo registrando il Copyr...
— Il Copyright non serve a un cazzo — interviene Jaz, e la donna sgrana gli occhi.
— Un bambino non dovrebbe usare certe parole — osserva la donna.
Jaz non risponde, e io proseguo: — Il mio compito è quello di dare consigli, gestendo un locale del genere. Non la plagerò, può star tranquilla, semmai tenterò di aiutarla.
— Be', in effetti ho il dubbio che sappia troppo di già scritto e non saprei come migliorare. In questo un consiglio mi farebbe bene.
— Mi dica, allora.
— Parla di una ragazza che si trasferisce in una nuova città, ad abitare col padre, perché la madre deve seguire il compagno che viaggia molto per motivi di lavoro - sono divorziati - e non vuole far vivere alla figlia una vita di continui spostamenti. Be', questa città in cui va non le piace per niente, ma dopo s'innamora di un ragazzo e tutto cambia.

Jaz fa gli occhi al cielo.

— Tutto qui?
— Già.
— Di recente va di gran moda il Fantasy. Potrebbe introdurre qualcosa di soprannaturale.
Lei guarda il bancone, come incantata. — Soprannaturale, dici... — Alza la testa, gli occhi sbarrati. — Hai ragione! — Si alza e senza dir nulla, esce dal locale correndo.

Con gli occhi, Jaz segue la sua scia, le labbra distorte. Poi mi guarda. — Ti pago per dare consigli agli scrittori, non per consigliar loro di scrivere Fantasy.
— Avrei proseguito, non fosse andata.
Jaz mostra attenzione per il pavimento. — Ha perso qualcosa — comunica. Si china e mi mostra quello che pare un portafogli. Sorride, sadico. — Be', chi glielo riporta?

Fuori dal Feather c'è il Mondo dei Vivi, e noi non abbiamo il permesso di uscire.

Jaz posa il portafogli sul bancone e lo apre. Ne estrae due banconote da un dollaro più qualche centesimo. Fa una faccia schifata, perché dei soldi dei Vivi non ce ne facciamo niente, poi trova un documento.

— Stephenie Meyer, classe 1973 — recita.
— Magari ne sentiremo parlare ancora.