venerdì 5 giugno 2009

Qualcosa di soprannaturale

venerdì 5 giugno 2009

Si chiama Blue Feather Cafè e sta in mezzo a due dimensioni. È un bar e ha la caratteristica di essere l'unico locale aperto sia ai morti che ai vivi, sebbene operi in un certo senso solo per quest'ultimi. Io ci lavoro da un mesetto, da quando una maledizione a forma di troia m'ha spinto tra le braccia di Pietro, e al momento mi trovo bene. Ho l'opportunità di parlare con un sacco di gente e l'occasione di dare consigli agli scrittori di tutto il mondo, mansione per cui vengo pagato di più.

— Oh, una merda anche oggi — dice il mio capo, quando si siede al bancone.

Si chiama Jaz, è morto alla veneranda età di dieci anni e da allora non è più cresciuto. Da circa un secolo racimola soldi al fine di comprarsi un corpo da adulto. Non avendo mai raggiunto la pubertà, gli piacerebbe provare. Io sono morto sedicenne e ogni volta che mi lamento penso a lui, o a tutti gli sfigati che crepano vecchi bacucchi o strangolati dal cordone ombellicale ancor prima di nascere.

— Perché?
— Elfi.
— Ah.

Avendoci a che fare così spesso, Jaz non sopporta i cliché Fantasy.

Gli verso un bicchiere di whisky. — Com'è la trama?
Lui beve in un sorso, posa il bicchiere ed esita, poi scuote la testa. — Cestinato.
— L'Autore?
— Un ragazzino piemontese sul secondo romanzo.
— Chi l'ha segnalato?
— Nessuno. Ultima pubblicazione.

Accanto a lui si siede una donna, in carne, dall'aria disagiata. Jaz la guarda a lungo, lei ricambia. È una viva ed essendo viva si tratta di una scrittrice, perché gli unici vivi attirati dal cartellone intermittente del Feather sono scrittori.

Jaz mi guarda, comunicandomi con gli occhi che è una mia cliente.

— Desidera? — chiedo.
— Un bicchiere d'acqua.

Normale. Entrano e non sanno che ordinare, quindi chiedono l'acqua. Gliela porgo.

— È carino qui — dice. — Ha aperto da poco? Non l'avevo mai visto.
— Ci siamo da tanto — rispondo. — Ma lo conoscono in pochi, per lo più scrittori.
Lei s'illumina. — Scrittori?
— Sì. Ha mai sentito parlare di Writer's Cafè? È una catena di locali londinesi atti a ospitare gli scrittori; un posto dove scambiarsi opinioni, critiche... Noi ne siamo una bieca imitazione.
— Curioso —, mormora, ora più sorpresa che a disagio — io sono una scrittrice, o meglio —, ridacchia — sto scrivendo un romanzo.

Jaz sorride tra i baffi.

— Curiosa coincidenza, sì. Che tipo di romanzo?
Ancora, s'illumina. — Da ragazza leggevo un sacco di libri rosa. Amo il lieto fine e il giardiniere muscoloso. Quindi è...
— Un romanzo rosa.
— Sì.

Jaz, rivolto dalla parte opposta, tira fuori la lingua e se la morde. Forte.

— E la trama?
Mi guarda, esitante. — Non conviene parlare della trama del proprio libro. Non prima di aver provveduto a proteggerlo registrando il Copyr...
— Il Copyright non serve a un cazzo — interviene Jaz, e la donna sgrana gli occhi.
— Un bambino non dovrebbe usare certe parole — osserva la donna.
Jaz non risponde, e io proseguo: — Il mio compito è quello di dare consigli, gestendo un locale del genere. Non la plagerò, può star tranquilla, semmai tenterò di aiutarla.
— Be', in effetti ho il dubbio che sappia troppo di già scritto e non saprei come migliorare. In questo un consiglio mi farebbe bene.
— Mi dica, allora.
— Parla di una ragazza che si trasferisce in una nuova città, ad abitare col padre, perché la madre deve seguire il compagno che viaggia molto per motivi di lavoro - sono divorziati - e non vuole far vivere alla figlia una vita di continui spostamenti. Be', questa città in cui va non le piace per niente, ma dopo s'innamora di un ragazzo e tutto cambia.

Jaz fa gli occhi al cielo.

— Tutto qui?
— Già.
— Di recente va di gran moda il Fantasy. Potrebbe introdurre qualcosa di soprannaturale.
Lei guarda il bancone, come incantata. — Soprannaturale, dici... — Alza la testa, gli occhi sbarrati. — Hai ragione! — Si alza e senza dir nulla, esce dal locale correndo.

Con gli occhi, Jaz segue la sua scia, le labbra distorte. Poi mi guarda. — Ti pago per dare consigli agli scrittori, non per consigliar loro di scrivere Fantasy.
— Avrei proseguito, non fosse andata.
Jaz mostra attenzione per il pavimento. — Ha perso qualcosa — comunica. Si china e mi mostra quello che pare un portafogli. Sorride, sadico. — Be', chi glielo riporta?

Fuori dal Feather c'è il Mondo dei Vivi, e noi non abbiamo il permesso di uscire.

Jaz posa il portafogli sul bancone e lo apre. Ne estrae due banconote da un dollaro più qualche centesimo. Fa una faccia schifata, perché dei soldi dei Vivi non ce ne facciamo niente, poi trova un documento.

— Stephenie Meyer, classe 1973 — recita.
— Magari ne sentiremo parlare ancora.

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